Tīmūr Barlas, Timur-e lang o Tīmūr Lang, ossia Timur “lo zoppo”, italianizzato in Tamerlano nacque intorno al 1336 e morì nel 1405.
Nei suoi quasi settant’anni di vita si affermò come il conquistatore più feroce della storia. Se dobbiamo credere a quanto raccontato dai suoi nemici, fu proprio il più sanguinario di tutti i tempi e tra il 1370 e il 1405 conquistò un impero che si estendeva dalla Cina fino al cuore dell’Asia Minore fondando l’Impero Timuride.
Figlio del capo della tribù mongola dei Barlas, che si era stanziata nel Khanato Chagatai al seguito dell’invasione mongola del secolo precedente, si considerava un discendente di Gengis Khan (come scritto sulla sua tomba a Samarcanda) e la sua aspirazione era quella di riedificarne l’impero.
Discendono da lui l’astronomo Uluğ Bek e Babur (“il Leone”), fondatore della dinastia Mogul in India.
Fu un genio dell’arte militare, ebbe la capacità di controllare un esercito sterminato composto da cavalieri nomadi provenienti dai quattro angoli dell’Asia (turco-mongoli chagatay, mongoli, tartari, turcomanni, persiani e infine indiani con i loro elefanti) e di condurli di vittoria in vittoria in alcune delle più grandi battaglie del medioevo. Ad Angora nel 1402, in una battaglia campale, batté e catturò il sultano ottomano Bāyazīd I, arrestando temporaneamente l’ascesa vittoriosa della potenza ottomana.
Fu un feroce distruttore di eserciti nemici e di città che si opponevano alla sua conquista
Le sue vittorie militari e le conquiste lasciarono una scia di stragi e di devastazioni quasi senza precedenti. Da Delhi nella valle del Gange fino a Bursa e Smirne sul Mediterraneo furono a decine le città incendiate e distrutte, come Herat, Isfahan, Baghdad, Damasco, Aleppo, Kiev, Astrakhan e Mosca, o addirittura cancellate della carta geografica come Saraj. Le stragi delle popolazioni (stimate da alcuni studi demografici fino a 17 milioni di vittime fra civili e militari, circa il 5% della popolazione mondiale allora esistente) hanno un confronto solo con le precedenti invasioni dei mongoli di Gengis Khan.
Diversamente da questi però, fu anche protettore di poeti, scienziati e artisti Sotto di lui la sua capitale, Samarcanda, ebbe una fioritura monumentale, e ancor oggi uno dei suoi più cospicui monumenti è la tomba di Tamerlano (gūr-i amīr).
Abilissimo nello sfruttare le divisioni degli avversari, costruì il suo impero sulle vittorie militari e su una doppia legittimazione:
- Come “erede di Gengis Khan”, dopo avere riunificato sotto il suo dominio i Khanati gengiscanidi dell’Asia centrale, distruggendo anche la potenza della cosiddetta Orda d’Oro, che non si riprese mai più, rendendo così possibile la nascita del principato di Moscovia e l’indipendenza di quello di Kiev, dai quali si formerà la Russia moderna.
- Come “ghazi”, ovvero “Combattente per la Fede”, che lo portò allo scontro con i khanati mongoli ancora legati allo sciamanesimo, con i sultanati indiani e con gli stati cristiani dell’Asia minore e del Mar Nero.
Non si fregiò mai di altro titolo se non quello di emiro (principe), o Grande Emiro, come per ribadire il fatto di governare soltanto in nome della legittima dinastia dei khan mongoli discendenti diretti di Gengis Khan.
Assunse anche il titolo di Khaghan, cioè “Genero imperiale”, dopo il matrimonio con la principessa Bibi Khanum, discendente diretta di Gengis Khan.
Alla fine della sua vita l’impero di Tamerlano aveva un’estensione immensa, dalla Moscovia e dall’Ucraina fino alle attuali Turchia e Siria incluse ad occidente, e a oriente fino ai confini della Cina, comprendendo tutta l’Asia centrale, la Persia e l’India.
Tamerlano ha lasciato una memoria eroica fra le genti mongole e turco-mongole, pari a quella di Alessandro Magno o di Giulio Cesare per gli europei.
I biografi contemporanei di Tamerlano si possono dividere fra:
- coloro che lo descrivevano come il restauratore della pax mongolica e persino un precursore del Rinascimento umanistico che avrà luogo in Occidente. E questi sono, in generale, autori persiani e occidentali.
- Coloro che ne sottolineavano le origini modeste e la ferocia verso i nemici e gli abitanti delle città conquistate. In questo caso trattasi in genere degli autori arabi indignati per la distruzione delle città “sante” per la fede sunnita di Baghdad, Damasco e Aleppo. Il suo principale biografo “malevolo”, Ibn ʿArabshāh (deportato ancora bambino a Samarcanda con i genitori dagli uomini di Tamerlano dopo la distruzione di Damasco) ad esempio, attribuisce la sua zoppia ad una ferita subita in gioventù nella sua vita da nomade durante un furto di bestiame. Si trattò invece di gravi ferite subite più tardi in combattimento, che lo lasciarono invalido alla gamba e al braccio destri.
Stando agli storici, Tamerlano poteva agevolmente sostenere una discussione filosofica, geografica o di storia antica con un erudito del calibro del grande storico Ibn Khaldūn.
Anche in questo caso il paragone con Alessandro Magno o Giulio Cesare è più che giustificato.
Tamerlano aveva una statura imponente, come descritto da chi lo incontrò di persona, e come si rileva dai suoi resti nella tomba di Samarcanda. Aveva inoltre una forza e una resistenza fisica eccezionali, al punto di potere sfidare a duello individuale i propri avversari fin oltre i quarant’anni di età.
Le sue grandi capacità strategiche, unite alla sua abilità di cavaliere e nel tiro con l’arco, gli consentirono – malgrado le gravi ferite subite – di guidare personalmente i propri eserciti in battaglia fino a quasi settant’anni di età.
Il 19 gennaio 1405, in procinto di intraprendere una nuova guerra, che avrebbe dovuto portarlo alla conquista della Cina, Tamerlano morì, non in battaglia, ma nel suo letto, vecchio e consumato dalla malattia.