Un viaggio in Cambogia alla scoperta dei templi Angkor Wat
Nel cuore della foresta cambogiana, intorno alla Provincia di Siem Reap, le eleganti guglie di una remota città di pietra svettano dominando la vastità dell’intero Parco Archeologico di Angkor.
L’intera area raggiunge un’estensione di 400 km2 paragonabile alla superficie della città di Los Angeles – con rovine ancora oggi coperte dalla vegetazione – e costituisce uno dei più importanti siti del suo genere nel Sud-Est Asiatico.
Più di una delle capitali dell’antico Impero Khmer poterono qui prosperare fra il IX e il XV secolo sotto la guida di sovrani che esercitavano il proprio dominio fino a territori oggi ricompresi negli attuali Myanmar o Vietnam.
Sebbene sia solo uno fra le centinaia di templi e di altri edifici che oggi sopravvivono in quest’area, l’imponente complesso di templi di Angkor Wat è il più famoso in Cambogia, col suo profilo che si staglia nettamente al centro della bandiera nazionale.
Costruito nel XII secolo, Angkor Wat fu eretto quale dimora spirituale del dio Vishnu, dovendo perciò osservare le forme di un “tempio-montagna” esplicitamente riconducibile al Monte Meru della cosmografia induista.
Con la planimetria di un rettangolo lungo 1,5 chilometri in direzione est-ovest, e 1,3 in direzione nord-sud, sono le cinque torri centrali – disposte come si può immaginare il numero cinque sulla faccia di un dado – a simboleggiare gli altrettanti picchi della montagna sacra.
Il tempio è completamente circondato da un muro perimetrale di 5,6 chilometri e da un ampio fossato molto più esterno, la cui simbologia è rispettivamente riconducibile alle catene di monti e all’oceano che circondano il Monte Meru.
Al suo interno si allungano tre spettacolari gallerie sovrapposte, tempestate di basso rilievi ispirati soprattutto a episodi dei due più importanti poemi epici indù: il Rāmāyaṇa e il Mahābhārata.
Uno dei miti più celebri è quello della “Zangolatura nell’Oceano di Latte”che racconta una colossale e articolata impresa in cui le due schiere divine dei Deva e degli Asura si ritrovano provvisoriamente alleate per frullare tutto il latte del grande oceano allo scopo di estrarne l’Amrita, il nettare dell’immortalità.
Abbondano ovunque le raffigurazioni delle Apsaras – ovvero delle semidee celesti danzanti – e delle Devata, divinità minori femminili anch’esse in movenze che riconducono alle radici della tradizionale danza di corte cambogiana.
Indice dei contenuti:
La costruzione di Angkor
Con una ricostruzione storica resa difficile dalla scarsità di fonti scrittesi sa oggi che nell’800 d.C. ebbe inizio l’ascesa dei principi khmer, che fondarono Angkor sulle basi della cultura induista importata da Giava.
L’impero Khmer
L’apogeo fu raggiunto intorno al 1200 d.C., quando l’Impero Khmer divenne la principale entità politica dell’intera Penisola Indocinese grazie innanzitutto alla proficua organizzazione economica del proprio territorio.
In un’area geografica caratterizzata dal succedersi di una stagione umida e di una stagione secca, la chiave della sopravvivenza doveva coincidere con la capacità di conservare efficacemente le risorse idriche necessarie all’agricoltura nel corso dell’intero anno.
I khmer riuscirono a sviluppare una raffinata ingegneria idraulica che permise loro di costruire enormi bacini idrici unitamente a una complessa rete di canali.
Già nei primi secoli dopo l’anno mille la produzione di riso, ortaggi e frutta arrivò così a garantire il sostentamento di una popolazione stimata intorno al milione di persone: il più grande insediamento urbano del mondo pre-industriale. Di qui la disponibilità anche di un poderoso esercito.
Questa complessa sinergia fra operosità idraulica e attività agricole richiedeva un notevole impegno da parte della popolazione, e anche una forte disciplina per imporre il rispetto di pesanti carichi di lavoro a contadini e maestranze.
Il tutto fu reso possibile proprio dalla religione adottata, che vedeva nei sovrani dei secoli intorno all’anno mille delle vere e proprie divinità incarnate.
Grandi cultori dell’astronomia, gli ingegneri khmer costruirono le torri del tempio di Angkor Wat in modo che due volte all’anno il sole, raggiungendo lo zenit, penetrasse all’interno con un raggio luminoso convogliato dalla sommità della struttura fino al trono collocato alla base della Camera Cerimoniale.
Il corpo del sovrano assiso veniva così illuminato da questa luce mistica, davanti a tutta la corte riunita per l’evento. Una volta certificata la propria natura divina, il re godeva del potere incontrastato di imporre elevati sacrifici ai propri sudditi pur di mantenere alta la produzione agricola, e in perfetta efficienza le opere idrauliche.
Suryavarman II
Il costruttore di Angkor Wat, Suryavarman II (1113-1150) era di religione induista ma uno dei suoi più importanti successori – e ultimo dei grandi re di Angkor – Jayavarman VII (1181-1219) si manifestò come un seguace del buddhismo.
Da lui in poi finì col prevalere, quale religione regale, il Buddhismo Theravada proveniente dallo Sri Lanka, che si affermò definitivamente intorno al 1300 in tutta la regione.
Pur essendo il progressivo declino dell’Impero Khmer generalmente spiegato con la prevalenza del rivale Regno del Siam, si ritiene oggi che fu proprio questo cambio di religione al potere a costituire la principale causa della disfatta.
Viaggio in Cambogia: Le religioni
Con la dismissione dell’induismo, il sovrano aveva cessato di essere visto dal popolo come una divinità incarnata, dimensione regale oramai incompatibile con una dottrina “atea” come quella buddhista.
Venne quindi a svanire l’ascendente del sovrano nell’imporre al popolo pesanti corvé e lavorative ma, nello stesso arco di tempo, l’area cambogiana fu colpita da cambiamenti climatici che portarono anomalie nelle stagioni monsoniche e pesanti periodi di siccità.
L’intero territorio di Angkor divenne, nello spazio di pochi decenni, non più adatto al sostentamento dei precedenti livelli di popolazione; e il progressivo abbandono della città e dei templi segnò il destino dell’area.
Solo gruppi di monaci buddhisti provenienti anche da altri Paesi asiatici, continuarono a soggiornare in quei perduti ambienti nascosti dal verde che erano stati una volta parte del glorioso tempio di Angkor Wat.
La storia della Cambogia proseguì nei secoli successivi sotto il segno di un assoggettamento ai poteri stranieri, ora del Siam ora del Vietnam, fino alla definitiva infiltrazione dei colonizzatori francesi.
Il villaggio di Siem Reap
Ma proprio alla Francia va il merito della riscoperta del tempio di Angkor Wat nel 1860, con la progressiva realizzazione di lavori di recupero ambientale.
Già negli anni ’20 del ‘900, il tempio costituiva una destinazione turistica per le nuove élite mondiali con lo sviluppo del villaggio di Siem Reap, a partire dalla costruzione sul posto dello storico Grand Hotel d’Angkor dove alloggiò anche Charlie Chaplin nel 1936.
Angkor Wat ha attraversato fino ad oggi protratti stati di abbandono, guerre e saccheggi.
Dal 1992 costituisce Sito Unesco Patrimonio dell’Umanità, e deve ancora continuare ad affrontare rischi dovuti all’erosione delle piogge, alla crescita della vegetazione, alla presenza degli uccelli e al turismo di massa.
Raggiungere oggi Angkor Wat rappresenta molto più di un’esperienza di grande impatto culturale ed emozionale. La visita al tempio e all’intero parco apre infatti le porte alla comprensione di molte sfaccettature dell’intera storia del Sud-Est asiatico.
Grazie agli elevati standard di servizio in un contesto immerso nell’assoluta privacy, il resort di lusso Amansara a Siem Reap può vantare la trascorsa accoglienza di varie celebrità come Jackie Kennedy, Peter O’Toole, Charles De Gaulle e Angelina Jolie. Collocato nel Quartiere Francese, quale spavaldo dirimpettaio dell’altrettanto storico Raffles Grand Hotel d’Angkor, Amansara si trova a 10 minuti dall’area del Vecchio Mercato e della zona dei monumenti.
I clienti sono prelevati dal vicino aeroporto di Siem Reap con la Mercedes del 1960 appartenuta al re Norodom Sihanouk, che fu più di una volta sovrano del Paese e rivestì altre altissime cariche di stato.
Grand Hotel d’Angkor
Per godere di un pò di relax e comfort durante il tuo viaggio in Cambogia questa è la meta giusta. L’hotel è costruito in architettura neo-khmer nelle forme di un edificio a un solo piano, ed ebbe inizialmente vita proprio come residenza del re Sihanouk. Abbandonato a seguito della rivoluzione dei Khmer Rossi nel 1975, ha successivamente attraversato sorti alterne.
La sua più recente riapertura nel 2002 ha donato al palazzo una superba ristrutturazione ed estensione, che annovera oggi ben 12 suite munite di piscina dislocate intorno a un erboso cortile entro un lussureggiante contesto.
Due grandi piscine comuni caratterizzano questo hotel di lusso – una più meditativa, l’altra più sportiva – completano l’ambiente esterno, ma è soprattutto l’area benessere a raggiungere delle vere e proprie vette di singolarità.
Con un’offerta particolarmente dedicata al benessere del corpo femminile, la SPA sfodera trattamenti di esfoliazione e reidratazione a base di erbe locali, ritonificazione del seno, aromaterapia, maschere facciali di argilla, speciali impacchi di riso allo scopo di rilassare il ventre e un invidiabile ventaglio di massaggi.
L’offerta prosegue con pratiche di “foresto terapia” immersi nella circostante natura, che prevedono l’utilizzo della pratica yoga e passeggiate meditative in compagnia di monaci buddhisti.
Le ampie camere sono caratterizzate da un elegante stile retrò in sintonia col resto dell’hotel. Prevalgono toni scuri nei colori del mobilio, e vaste vetrate collegano visivamente l’ambiente con un cortile esterno cinto da un’alta parete a tutela della privacy.
Le stanze sono digitalmente accessoriate e le spaziose sale da bagno sono parzialmente integrate con lo spazio abitabile.
La sala del ristorante ha una spettacolare pianta circolare ricoperta da una cupola.
La gastronomia e i piatti tradizionali
A questo viaggio in Cambogia non si può togliere l’esperienza culinaria. L’offerta gastronomica si divide tra una selezione di piatti della tradizione khmer e una cucina di ispirazione occidentale.
Sulla prima linea, si ritrovano ricette come l’Amok in cui del pesce d’acqua dolce è mescolato con riso, latte di cocco e una speciale pasta al curry per poi essere cotto a vapore in foglie di banana.
La Samlor Machu Trey è una tradizionale zuppa di pesce in agrodolce, con un diluvio di aromi fra cui spiccano lemon grass e succo di tamarindo. La lista è lunga, ma ricordiamo ancora le Twako: tradizionali salsicce di maiale, grigliate con un mix di spezie che dona loro un gusto molto tipico.
Per chi volesse a tutti i costi cenare all’europea, non resta che indulgere in un piatto di scioglievolissimi gnocchi alla ricotta guarniti da peperoncino tostato e salsa di olive tapenade; oppure in un pregiato filetto di manzo australiano, condito con asparagi e patate e arricchito con una riduzione al pepe nero.